

Le origini dell'orientamento transculturale
Prende origine dal pensiero di Georges Devereux, psicoanalista ed etnologo ungherese migrato negli USA, negli anni ’40.
La lettura transculturale dell’esperienza umana conosce le sue origini nella prima metà del 1900, quando studiosi di differenti discipline (psicologi, psicoanalisti, medici, sociologi, antropologi, linguisti…) iniziano ad interrogarsi riguardo all’influenza del contesto, dell’esperienza quotidiana e delle pratiche culturali sullo sviluppo individuale e sociale della persona. Un esempio in tal senso sono gli studi su “cultura e personalità” che negli USA hanno coinvolto nomi illustri quali Kardiner, Dollard, Fromm, Mead, Sapir. All’interno di questo quadro nasce pochi decenni più tardi la psicoterapia transculturale, che prende origine dal pensiero di Georges Devereux, psicoanalista ed etnologo ungherese migrato negli USA. Devereux, nella sua lunga e ricca ricerca psico-antropologica fa emergere in maniera chiara la complessità dei legami tra cultura e individuo e le implicazioni che da essi derivano per la comprensione e la cura della sofferenza psichica. Secondo l’autore solamente dalla presa di coscienza dell’inevitabile influenza dell’osservatore sull’osservato può avere origine la relazione transculturale tra paziente e terapeuta, nella quale giocano un ruolo di primo piano transfert e controtransfert culturale. Avendo scoperto la dinamica della cultura come fondante lo psichismo (per tutti, occidentali e non), Devereux afferma che il terapeuta transculturale non necessità di studiare le mille culture del mondo, ma può usare la conoscenza di cosa sia la cultura in sé per trattare le varie patologie che di volta in volta incontra.
Nel 1972 Luigi Frighi chiama Rosalba Terranova-Cecchini a scrivere un capitolo del suo testo di Igiene Mentale (1972): è la prima trattazione in Italia delle forme relazionali transculturali.
Verso la metà del 1900 in Italia si sviluppa l’interesse per il tema della cultura a partire dai rapidi cambiamenti socio-economici del dopoguerra, con particolare attenzione ai processi di migrazione interna e verso la vicina Svizzera. Di questo periodo è il lavoro di Ernesto De Martino che riguardo all’esperienza dei migranti dalle campagne alle grandi industrie conia il termine “crisi della presenza”. Contemporaneamente Michele Risso studia l’esperienza di shock culturale che subiscono in Svizzera gli operai provenienti dal Sud Italia. In ambito più prettamente psichiatrico, nel 1972 Luigi Frighi chiama Rosalba Terranova-Cecchini (che sarà poi la fondatrice della nostra Scuola) a scrivere un capitolo del suo testo di Igiene Mentale: è la prima trattazione in Italia delle forme relazionali transculturali. In questo lavoro l’autrice illustra l’approccio transculturale alla psichiatria che ha sviluppato durante le sue pionieristiche esperienze in Madagascar e in Nicaragua. Terranova-Cecchini approfondisce inoltre il significato della cultura nei processi di cura durante il processo di chiusura post-Basagliana dei manicomi, al quale partecipa in prima linea come primario di psichiatria dell’Ospedale Sacco di Milano. D’altro canto, a Roma studia e lavora nella seconda metà del 1900 Mariella Pandolfi, psicologa e antropologa, poi professore ordinario di antropologia all’Università di Montreal, dove approfondisce, a partire dalla prospettiva dell’antropologia medica, la relazione tra potere, cultura e violenza in situazioni caratterizzate da forti spinte di globalizzazione, quali quelle in cui si muovono gli odierni sistemi internazionali degli aiuti umanitari.
Diversi clinici e ricercatori iniziano a lavorare con un approccio transculturale in Italia e all’estero.
Dall’esperienza dei progetti in Nicaragua e in altri Paesi diversi clinici e ricercatori iniziano a lavorare con un approccio transculturale in Italia e all’estero. Tra i più noti troviamo Fausto Massimini e Paolo Inghilleri, medici e Professori Ordinari di Psicologia Sociale all’Università degli Studi di Milano, che approfondiscono lo studio della relazione tra esperienza soggettiva ed evoluzione della cultura e della relazione tra artefatti culturali e disagio psichico. In questo ricco panorama teorico e tecnico, nel 2001, all’interno dell’Istituto Transculturale per la Salute, già della Fondazione Cecchini Pace, ora del Gruppo per le Relazioni Transculturali, nasce la Scuola che viene riconosciuta dal MIUR in data 9 luglio 2001.
Proseguendo su questo filone, molti degli attuali docenti hanno acquisito esperienza transculturale lavorando negli ultimi decenni nelle culture d’Africa, delle Americhe e d’Asia e con persone nate o provenienti da queste società.

La psicoterapia transculturale
Arricchisce la conoscenza dell’uomo, aggiungendo al fattore biologico e a quello psicologico, il fattore culturale.
La psicoterapia transculturale considera le reazioni del corpo umano, il comportamento degli individui e le opere dell’uomo e della donna come derivanti dall’eredità culturale delle varie comunità. Arricchisce la conoscenza dell’uomo, aggiungendo al fattore biologico quello psicologico e quello culturale. La psicoterapia transculturale si applica, in senso generale, alla promozione e alla difesa della salute, intesa per come definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, non solo come stato bio-psichico ma anche sociale, e legata quindi a parametri culturalmente definiti dell’organizzazione del lavoro, dell’economia, dell’educazione, del diritto, del modo di abitare, delle forme del convivere e del comunicare, nelle istituzioni e fuori di esse.
La psicoterapia transculturale si propone dunque di far emergere, all’interno del percorso terapeutico, le peculiarità culturali specifiche dei pazienti, intesi contemporaneamente come membri di uno specifico sistema socio-culturale e come individui unici che hanno definito, all’interno delle varie opportunità fornite dal sistema culturale, la propria identità. In questo percorso di ri-scoperta della cultura individuale e specifica del paziente diviene possibile tanto un processo di risignificazione del Sé quanto la scoperta di risorse proprie del paziente e della sua rete socio-culturale, risorse che possono essere utilizzate per promuovere il raggiungimento di uno stato di miglior equilibrio del paziente stesso.